La morfologia

a. Gli articoli

Tab. 1


b. Le preposizioni

Tab. 2

Tab. 3a

Tab. 3b

La preposizione a viene usata in modo improprio (l’accusativo preposizionale, vedi tab. 7) in alcuni contesti
beat a te!
l’é vist a Mario?
è mejo a esse ‘nvidiati che compatiti
ho sentit a dì che...
n fa stizzà a mamma!
me tocc a gicce!
porett a me!
ecc a l’acqua.
È quasi sempre utilizzata dopo gli avverbi di luogo
sotto al letto
vicino a la strada
dietro a cle machine
sopra al tavolo
contr al muro.
Quando l’infinito è preceduto dalla a, in alcune costruzioni con i verbi servili, si accenta la sillaba precedente (vedi pag. 48)
ven a véde, vieni a vedere, invece di vedé.
La preposizione de è usata in particolare nello specificare la provenienza di qualcuno (Mario del Mancino, Mario dla Serra), la sua professione (Mario del gommista) o una sua caratteristica (Mario del roscio), probabilmente per influenza del toscano.
Con gli avverbi qua, , su e giù le preposizioni ntel e ntla vengono generalmente omesse: qua la strada, qua nella strada; là l paese, là nel paese; giù la stalla, giù nella stalla.
La preposizione per segue spesso gli avverbi giù, su, ,
m so fatt male su pen piede
ho da gì giù ple scale
pìa là pla macchia per fà prima.
L’arcaismo sa (con), tipico del gallo-piceno e tuttora comune in molte parlate limitrofe, è pressoché scomparso dal pergolese, forse per influenza del romanesco. 


c. Le congiunzioni

Le congiunzioni del dialetto ricalcano quelle dell’italiano, con piccole sfumature. Ad esempio, si usa embè come valore conclusivo o rafforzativo (ebbene, e allora?)
embè, fa’ ‘n po’ te
embè, co’ c’hai da guardà?
ma anche in senso dispregiativo
ma co' hai fatto?, embè... (tu capisci poco...)
Le negative neanche, nemmeno, neppure si limitano al pratico manco
a Mario gni piace sto vino, e manco sto formaggio.
Le concessive sebbene, nonostante che, seppure si riducono al semplice anche si
anche si pioe, l’ombrella n’la pìo.
Le consecutive sicché, pertanto, perciò, quindi si risolvono con un cuscì
m’ero stuffato, cuscì so’ partito
mentre una locuzione congiuntiva come de modo che è utilizzata per in modo che, in modo da
te chiamo doppo, de modo che chiarimmo la situazzione.


d. I pronomi

Tab. 4

L’allocutivo te è stato sempre comune, sia nel borgo che nelle campagne, nell’ambito della stessa vicinanza sociale. Il pronome personale essa è piuttosto diffuso, al posto di lia: ma essa co’ vole?
Il lei si è diffuso solo dal dopoguerra, mentre il voi (vojà), da sempre usato, rimane ancora nella fascia più anziana.
Come molti dialetti centro-meridionali, anche il pergolese prevede l’uso della preposizione a davanti a nomi o pronomi nei casi di verbi di forma diretta (accusativo preposizionale)
oggie vedo a lù; conosci a Gige?
Nella forma indiretta segue invece l’italiano
risponde a mammeta; telefono a vojà. 

Tab. 5


Tab. 6


Tab. 7

Il pronome combinato ce la diventa in alcuni casi gliela: jla fai, gliela fai, invece di ce la fai. Al negativo gni la fai.
Tab. 8

I pronomi dimostrativi differiscono dagli aggettivi equivalenti. Si dice me piace sto vino, ma questo in quanto pronome diventa tésto: de sti vini me piace tésto. Se questi è riferito a persona, invece di tésti si dice quésci (oh, quesci en matti!). Quello è spesso seguito da (chi èn quej là?).
Molti pronomi hanno anche la funzione di aggettivi, come nella lingua italiana. Il pergolese, non essendo lingua letteraria, è però molto più povero.

Tab. 9

Che, cosa, che cosa quando sono pronomi interrogativi diventano co’ o co’ è che
co’ è sucesso? co’ è ch’è sucesso?
co’ vòi? co’ è che vòi?
co’ fai stasera? co’ è che fai stasera?
co’ sgaggi? co’ te sgaggi?
co’ sofi? co’ te sofi?
Espressioni tipiche sono
co’ dici?, co’ arconti?, quando ci si incontra e si vuole iniziare una discussione; co’ arvòi? co c’arrè? co’ avanzi?
Si usa anche con
co’ se’ stupido? invece di se’ stupido?
co’ se’ stizzato? invece di se’ stizzato?
co’ hai prescia? invece di hai prescia?
co c’hai, l mal del tocco?
co’ c’hai, mill lire?
co’ vòi, l’aiuto?
In tutti gli altri casi rimane che:
la galina ch’è morta… (pronome relativo)
me fa ‘n so che (pronome indefinito).
Resta che anche quando è aggettivo interrogativo
che lavor fai?
che film é visto?
anche con i rafforzativi
che cavolo vòi?
che diavlo è?
che cazzo arconta?
o quando è congiunzione
vojo che vé via
beve che te se ‘mpunta
magna che te se ghiaccia
penso ch’è sbajato.
Il che è presente in molte esclamazioni, come aggettivo
che bella magnata!
che trista grazia!
che fjolo palloso!
o pronome esclamativo
che borcia!; che ploja!
che sguadra!
che budriè!
che pistaticcio! (o co’ è sto pistaticcio? o co’ è ch’è sto pistaticcio?)
che fumaraja! (o co’ è sta fumaraja? o co’ è ch’è sta fumaraja?)
o dopo congiunzioni subordinative
siccome che nnel sapevo, invece di siccome nnel sapevo
quanto ch’ero soldato, invece di quant’ero soldato
mentre che m’arposavo, invece di mentre m’arposavo
dimme ndo’ ch’l’é chiattato, invece di dimme ndo’ l’é chiattato
o nella comparazione degli aggettivi
la Lina è più bella che nnè la sorella
oggie è più fresco che nnè ier l’altro
o in alcune locuzioni
puzza che pesta
è tristo che strozza
è brutto che spaura.
Che ha funzione di con cui nel costrutto le ragazze che ce semm sgappati ier sera, le ragazze con le quali siamo usciti ieri sera; o nel caso di a cui: la persona che j ho parlato, la persona a cui ho parlato.
Tab. 10

e. Gli aggettivi

Mia, tua, sua e lora sono aggettivi (e pronomi) sia maschili che femminili, sia singolari che plurali.
Quando riferito ai familiari, al singolare, l’aggettivo si unisce al finale del nome
mia sorella sòrema
tuo zio zzìeto
suo nonno nònneso.
In una forma ormai più diffusa precede, con troncamento, il nome
mi’ sorella; tu’ zzio.
Con i mia si intende i miei genitori, come in toscano.
Gli aggettivi possessivi hanno la stessa forma quando hanno la funzione di pronome
chi soldi enn i mia; sta terra è la vostra.
Tab. 11

Ancor più che in italiano, gli aggettivi in pergolese (tranne quelli dimostrativi, vedi tab. 12) si usano quasi sempre dopo il sostantivo, in particolare i possessivi
la terra mia e mai la mia terra
la terra molla e mai la molla terra.
Se in italiano sono comuni forme stilistiche come un’interes-sante mostra, in pergolese sarà sempre na mostra nteressante.
Solo gli aggettivi più comuni (bello, grande, vecchio, bravo, ecc.) possono invece precedere, a volte, il sostantivo
‘n brav ragazzo; che bella magnata!; ‘na bona forchetta.
Nei casi di grado comparativo abbiamo le seguenti forme
Mario è più svelto che nn è Gige (comparativo di maggioranza)
la Mariola è meno alta che nn è la sorella (di minoranza)
oggie è caldo comme cl’altro giorno (di uguaglianza).
Nei casi di grado assoluto del superlativo, il suffisso italiano –issimo non è usato. Per esprimere intensità si fa ricorso ad altri aggettivi o espressioni
te se’ tutt matto!
è brutto forte
enno bravi n gran bel po’
me piace ‘n sacco
chel monello è bon bono
se’ propio tonto.
Questo e quello differiscono in quanto aggettivi oppure pronomi
quell’amico cl’amico
di chi è quello? de chi è quello?

Tab. 12


f. Gli avverbi

Anche per gli avverbi, se in italiano ve ne sono in grande quantità, nel dialetto si riducono sensibilmente in poche unità.
Di avverbi con il suffisso –mente in pergolese in pratica non ve ne sono, e si usa l’aggettivo dai quali derivano
lento per lentamente
facile per facilmente
de rado per raramente
de sicuro per sicuramente.
Fanno eccezione termini come malamente e oppuramente.
Molto spesso al posto degli avverbi e si preferisce usare lagiù, ligiù, lassù, lissù, laoltre, lioltre
ho da gì ligiù ‘l mercatale
guarda lassù ‘l cimiter che nuvloni
‘l cane ha da esse sgappat lioltre.
Altrettanto per qua e qui
quagiù, chigiù, quassù, chissù.
Gli avverbi su e giù sono associati alla preposizione articolata per il, pel, o per la, pla
la volpe giù pel fosso
ha pjat su pla macchia
oppure sono presenti in altre locuzioni
sualto, su de sopra, giubasso, giù n basso, giusotto, giù de sotto.
Le voci un tempo tipiche come machì o malà (con i rafforzativi machìne e malàne), per dire qui e , sono diventate ormai degli arcaismi, quasi completamente abbandonate.
Gli avverbi scìne e nòne (rafforzativi di scì e no) sono anch’essi in via di estinzione.
Tav. 13

Sono frequenti altre locuzioni avverbiali
a la svelta
a tirà via
de prescia
aldingiù
‘nvelle
‘n sacco
‘n bel po’
na mucchia
pò darsi
pò esse
de sicuro
qualch volta
ogni tanto
de rado
sul tardi
da ‘n pezzo
a la fin fine
pian piano.
La preposizione a va fatta seguire, in genere, agli avverbi di luogo
sott al letto
dietr a la porta
vicin a la strada.
Nelle esclamazioni al posto di come  si usa le
le se’ bella!
le so’ stuffo…
l’è cald oggie!
Quanto (con valore di quanto e quando), può essere quanto (quanto smetti?), quant (quant’arcapiti?) o quan (quan ne vòi!; quan ce vedemmo?). L’avverbio amò (o ) a volte sostituisce adè, come nel romanesco, mentre si usa di regola per ormai (amò do’ vai più, ch’è tardi).
n,nn,nnnè sono avverbi di negazione
n so co ditte!
n ce gimmo?
n parlà a vanvra!
Il suono rafforza nel caso di non gli
nn j fa male!, non fargli male
nn j par vero, non gli pare vero
e aggiunge la o davanti a s + consonanate
nno sgappà, non scappare
che può diventare nonne
nonne sbaja mai, non sbaglia mai
o diventare enn'enn
sti meli enn'enn boni.
Spesso nnè (non è) segue che nelle comparazioni:
Enzo è più grosso che nnè Mario
Caj è più grande che nnè la Pergola.

g. I verbi

Anche i tempi  verbali del dialetto pergolese sono molto più limitati rispetto all’italiano. L’indicativo presente di molti verbi ri-calca ancora il toscano, un tempo di norma in italiano
i’ fo, i’ vo, i’ veggo, me seggo, n’ vòle, me dòle, pòle esse.
Il futuro è raramente utilizzato, si preferisce il presente
domani vo a Roma invece di domani andrò a Roma
tranne alcune espressioni tipiche o con funzione retorica
m’arnirai a cerca…
vorrà dì che ce parlerò io
l’ saprai te quel che vòi
c’avrà ‘vuto quattro o cinqu’anni…
scì ce girò, ce girò…
ce l sapremm ardì
staremm a vede
co avrò fatt de male
l’ dirò…
sarai bello
avrà dett la verità?
sarà tant bella ma…
La costruzione in italiano del futuro (infinito + avere, come andrò, cioè andare + ho) si riscontra nella forma verbale ho da gì (ho da andare), mutuata dal toscano.
Sono rari il condizionale e il congiuntivo, usati quasi esclusivamente con la prima o la seconda persona singolare
duvrìa fa a chel mo’
si c’avesci voja…
te pjasse ‘n colpo
co’ vurrisci dì
o in locuzioni
sarìa pur bella!
ne ‘nisse da te…
stesse atenti!
altro male n’ venga!
Il periodo ipotetico che esprime possibilità nel presente (se venissi ti divertiresti) si forma con l’indicativo presente
si veni te diverti.
Quello che esprime impossibilità nel passato (se fossi stato ricco avrei viaggiato sempre) si risolve con l’imperfetto
s’ero ricco viaggiav sempre.
Il passato remoto, al pari di dialetti centro-settentrionali, in pratica non esiste, men che meno il trapassato remoto. Si può trovare in rare locuzioni, enfatiche o ironiche
se passò n brutt’inverno
e cuscì fu.
Si fa ovviamente ricorso al passato prossimo
la guerr è finita ntel ’45
vent’anni fa so’ gitt a Roma.
Non si adopera neanche il gerundio.
Per dire è andata via piangendo si usa l’imperfetto
è gitta via che piagneva o mentre che piagneva.
Frasi come sbagliando si impara diventano
a sbajà s’impara.
Il costrutto della perifrasi progressiva stare + gerundio (sto mangiando) si forma con l’infinito (sto a magnà). Locuzioni come nimm faendo (veniamo facendo) sono eccezioni.
Quando si parla di una descrizione del passato si usa l’imperfetto
zì Maria era bionda e faceva la sarta
casa nostra era picqula ma co’ n bel giardino
o ci si riferisce a un’azione ripetuta
ogni matina m’alzavo a le sei
da munello, passavo l’estate a Montrolo ‘n campagna
ma in questi casi si ricorre spesso anche al passato prossimo, pur se in modo certamente meno evocativo
ogni matina me so’ alzato a le sei
da munello, ho passato l’estate a Montrolo ‘n campagna.
Quando invece si descrive un preciso episodio, insieme al passato prossimo, si preferisce all’imperfetto di nuovo la perifrasi stare a o stare per + infinito
j’è sonato ‘l telefono mentre che stava a fà ‘l bagno
stavo per artornà a casa quanto ho incontrato a Gige.
L’infinito è sempre tronco, con accento finale, nelle tre coniugazioni
magnà, partì, sapé, fadigà, guardà, tené
tranne i verbi in –ere se sdruccioli in italiano
rìde, métte, còce, arcòje, nàsce, bàtte
e tranne alcune costruzioni con i verbi servili, quando si accenta la sillaba precedente
ven a véde, vieni a vedere, invece di vedé
vent a scàlda, vieni a scaldarti, invece di scaldà
vall a chiàppa, vallo a prendere, invece di chiappà
mettet a cérca, mettiti a cercare, invece di cercà
sta’ a séde, stai seduto, invece di sedé
vemm a tròva, vienimi a trovare, invece di trovà
famm a fùgge, facciamo a chi corre più veloce, invece di fuggì.
Anche il participio passato è quasi sempre privo della vocale finale, sia che preceda un’altra vocale
é vist a Neno?
n’ so s’è mort o vivo
è partit oggie a le due
sia che preceda una consonante
ha magnat comme n porcello
enno gitt via mogi mogi
almeno ha finit de tribolà
tranne che per la s impura
l’ho ‘ncontrata stamatina
m’ha fatto smanià ‘n mese
chel fojo è gitto sperso
o quando è finale di frase
a la fin l’ho pjato
do’ l’é messo?
me sa che s’è rotto.
Molti participi assumono il valore di sostantivo, come gli aggettivi denominali, con accezione generalmente spregiativa di una condizione fisica o mentale
sgalucito, ingrancinito, sciamenato, rabbicito, guzzonito, mosciuto, sciaganito, sgulmito, sminchionato, rinsecqulito, sgolfanato
o, declinati al femminile, riguardo ad una azione poco aggraziata se non volgare
‘na sgrullata, n’ardrizzata, ‘na scurqlata, ‘na buta, ‘na bago-lata, ‘na zampata, ‘na sdolorata, ‘na sveccionata, n’inculata.
L’imperativo di alcuni verbi non contempla il dittongo ai, e si ricorre, come il toscano, all’elisione:
fa’ a tirà via
sta’ zitta per piacere
va’ a casa ch’è tardi
da’ sta lettra a babbeto.
Sono frequenti, nel pergolese, le locuzioni verbali
fasse vivo (comparire, dare notizie)
montà su (salire)
gì pr’aria (fallire)
méttese a sede (sedersi)
tirà via (sbrigarsi)
fa da magnà (preparare il pasto)
gì pel ciculo (elemosinare)
Molto comune, come nell’italiano informale, l’uso del riflessivo con verbi non riflessivi
ce bevemmo n goccio, va’
se j se pìa n colpo arman su dritto
co te sgaggi?
me fo n sonnellino.
È sovente l’uso del verbo non concordato quando precede il soggetto
ce n’è ‘n bel po’ de brave persone
co’ è ste stupitagini!
è le due e ‘n quarto
n’ me piace tutte ste chiacchiere.
Il prefisso s- è largamente usato in molti tempi verbali con funzione intensiva:
scancellà, sbatte, sgocciolà, scaccià.
Il prefisso iterativo ri-, comunissimo anche in italiano, viene reso in pergolese con ar-, come in molti dialetti
artornà, arcordasse, argirà
tranne poche eccezioni, come i verbi che iniziano con vocale, con s impura o con il fomema sci
rindormentasse, riscaldà, risciaquà.
È caratteristica di molti verbi la derivazione da sostantivi o aggettivi
matto immattisse
fuoco rinfocà
brancia sbrancià
luogo locasse
amaro amareggià.
  
h. Le coniugazioni

Tav. 14

èsse (essere) all’indicativo presente, a differenza del romanesco, la prima persona plurale presenta una m rafforzata: semmo, volemmo, magnammo, ecc.
La seconda persona singolare dell’indicativo presente può essere sei nel finale di frase (ndo sei?) o la forma contratta se’ quando ausilare (ce se’ gitto?) o seguito da consonante (se’ stuffo?).
èsse è usato anche per l’imperativo: esse bono, sii buono, fai il bravo.
Tra le locuzioni più comuni con il verbo essere
eh, n’ c’è tutto!, chi non ci sta del tutto con la testa
allora sei de coccio!
nnè vero!, ben ti sta, magari fosse così
s’è rimbuzzato, del cielo riannuvolato
se se’ matto con chi la vòi
de chi sei fjolo te?
i so l'ultima rota del carro
chi t credi d'esse?
le tazzine enn su la vetrina
eri n monello!
ah si nn era per me...
è tardi, gimm a casa
sta maja è da lavà
co enno sti atti!, co enno ste materie!
ma sarà per possibile!
sarìa pur bella!, e ci mancherebbe!

L’espressione negativa “non sono” (nn’enno) presenta spesso la e ridon-dante iniziale: sti atti enn’enn bej!

 


Tav. 15

avé (avere) quando non è ausiliare si usa spesso con la particella ce (c’) davanti: c’ho, c’hai, c’ha 
Quando è ausiliare, la seconda persona singolare e la prima e seconda plurale dell’indicativo presente diventano rispettivamente é, invece di hai (é volut la bicicletta?), émmo, invece di avemmo (emm fatto ‘n bel lavoro) e éte, invece di avete (éte magnato?).
A volte avere è usato al posto dell’ausiliare essere
l vallone ha franat co’ l’acqua
m’ha costato n’occhio d’ la testa
a me m’ha parso ch’era lù
co’ sto freddo i meli ancora nn’han fiorito.
È l’ausiliare anche dei verbi impersonali riferiti agli eventi meteorologici
ha diluviato
ha tronato.
Al participio passato, avuto, la a iniziale viene omessa
c’ho ‘vut ’na sdolorata, ho avuto un improvviso mal di stomaco.

Al posto del verbo dovere si usa avé da (avere da)
stamatina c’ho da gì a Caj
a la festa c’avet da nì
la Nina adé c’ha da studià  
oppure toccà 
me tocca a fà tutt a me
te tocca gicce pefforza.
Tra le locuzioni tipiche con avé:
c'ho da fà
è un che c’ha le palle
c’ho n diavlo per capello
co c’hai n mente?
co c’hai la coda de paja?
c’ho avut da dì col vicino
c’ho la gola secca
oggie c’ho l mal de testa
l’ha n simpatia
c’ha la luna storta
c’ha le madonne
tocca avecce l sale n zucca
n c’ha manco j occhi per piagne.
Tav. 16

(andare) nell’indicativo presente la prima e la seconda persona plurale differiscono dall’italiano (andiamo, andate) e si ri-fanno piuttosto all’origine latina: gìmmo (da imus) e gìtte (da itis): gimm giù!, andiamo giù.
La seconda persona singolare dell’indicativo presente può essere vai (ndo vai?) o la forma contratta (vojo che vé via!).
Il futuro, come detto usato raramente, è girò, girài, l’imperfetto gìvo, gìvi, il participio passato fa gìtto: ce se gitt a la messa?
Per alcune espressioni si usa la forma contratta
è givvìa (invece di è gitt via, è andato via)
gingiù (invece di gimm giù, andiamo giù).
Locuzioni tipiche sono
 
bad a gì!, vai pure che t’ho capito!
gì forte, andare veloce
gì pi greppi, gì pi fossi, non avere via d’uscita
gì a l’azzecco, tentare di indovinare
gì pel cicolo, elemosinare
gì a ruspo, andare in cerca di avventure
gì al gravello, racimolare
gì in ciampanella, camminare traballando
famm gì via ch’è n’ariaccia!, meglio che me ne vada
gì a ciancia, andare a tentoni
vòi gì n giro comm i cristiani?, perché non ti vesti, o comporti, come si deve?
gì a gattone, andare carponi, anche figurato
gì a donne
va matto pla mortatella
me fa g' n bestia
e lascia gì, lascia perdere
è gitta!, è andata!
do’ vai a fà danno?
é finit de gì n giro?
n me va a genio pe gnente
a gì bene, se tutto va bene, come minimo
gì pr aria, fallire
vaffanculo!
 
 
Tav. 17

(fare) nel lessico scarso del dialetto è un verbo molto usato, anche in espressioni particolari
 
gni la fo (non ci riesco)
gni fa gnente (non importa)
dà da fà (dare preoccupazioni)
e n’ fa (non va bene, non è educazione)
n’ fà la bigiolica (non fare la predica)
n’ fà ‘l collare (riempilo il bicchiere)
fà la legna/l fieno
fà da magnà (preparare il pasto)
fà l’amore (essere fidanzati)
fà la bava/la piscia adosso
fà l’occhietto (fare l’occhiolino)
fà a questione (litigare)
fà ‘l bregno (fare il broncio)
fà le fiare del foco (è eccezionale nella sua funzione)
fà la notte (assistere di notte un paziente)
fà la gresta (fare il sovrapprezzo)
fà a fugge (sfidarsi nella corsa)
 
oppure in locuzioni tipiche
fà a pulì (non lasciare niente all’avversario)
fà a buttà su (fare le cose con faciloneria)
me fa n so che (mi dà una sensazione strana)
te fa l piombo! (ci senti!)
me se fa male! (mi fa star male!)
fa sbudellà dal ride, fa sbilicà dal ride
me s’è fatt giorno
ho fatto scopa/tombla
facce col culo!
n vestito fatt e tutto (bell'e pronto)
ha fatto ‘n cul de neve
fa che m arcapiti sotto...
n’ te fa la fuga nisciuno (fai con calma)
tirà giù quattro santanne ben fatte!
fa ben bene (comportati bene)
fà a la svelta; fà a tirà via
fa piagne e stride (una situazione che procura sofferenza)
fà la festa al porco
fa nì ‘l latte ai cojoni!
fa girà le palle!
quan fa 7 per 9?
domatina fa la luna
m ha fatt da patre
fa sbudellà dal ride
 
 

Tav. 18


Espressioni tipiche con il verbo volé (volere)
 
i’ n la vòj’ lunga (non voglio star qui a discuterne)
se se’ matto con chi la vòi! (prenditela con te stesso)
te vojo bene (ti voglio bene, ti amo)
co vurrisci dì? (che vorresti dire con questo?)
e vurrìa dì, e direi
quant ne vòi pe ‘n soldo! (che pretese)
co’ vòi?
arvojo ndietro la sappa
se Dio vole
ven o, te vol mammeta (al telefono) 
e qua te vojo!
nnel vojo ma manco pe regalo!
allora n la voi capì!
te l se' voluto, adè con chi tla pij
anche la prescia vòle ‘l temp sua.